Parte prima
Questa frase della Bibbia dell’apostolo Giacomo quando nella sua epistola afferma che «La fede senza le opere è morta» (Giacomo 2:26), sollevò delle perplessità da parte di Martin Lutero, avendola considerata a suo tempo un’epistola “di paglia”. Egli la riteneva non cristologica, perché si piazzava diametralmente in contrasto con l’apostolo Paolo il quale affermava che la salvezza eterna avviene mediante “la sola fede” in Cristo. Tuttavia, nonostante la poca considerazione che le dette, accettò l’epistola di Giacomo essere un testo canonico perché contiene “molte parole buone”. Sulle sue considerazioni, però, non possiamo soffermarci a lungo perché il mio obiettivo è un altro, cioè quello di chiarire il rapporto che esiste tra la fede e le opere e come debba essere compreso correttamente, senza falsarne il pensiero.
Evidentemente, la suddetta frase doveva essere conosciuta anche dal famoso romanziere e novellista spagnolo Miguel Cervantes (1547-1616), uno dei più grandi della letteratura mondiale. Cosa me lo fa pensare? Perché l’ho trovata nel suo secondo libro intitolato Don Chisciotte della Mancia. Nel lungo dialogo che stava sostenendo con il suo compagno Sancio Panza, Don Chisciotte si sforzava di istruirlo con queste parole: «… al povero è impossibile dimostrare con alcuno la virtù della generosità per quanto la possegga in sommo grado; e la generosità che consiste soltanto nel possederla con il desiderio è cosa morta, come è morta la fede senza le opere».
Faccio osservare che un certo parallelismo tra Cristo e Don Chisciotte ci sta di sicuro, ma per svilupparlo richiederebbe uno studio a parte. Visto che ci siamo avvicinati nel merito del valente protagonista del libro di Cervantes, tanto per rinfrescare un poco la memoria, vogliamo fare un brevissimo riassunto sulla trama.
Chi è Don Chisciotte? Don Chisciotte viene ricordato per il cavaliere dall’animo generoso che combatteva contro i mulini a vento, scambiandoli per feroci giganti. Sembra essere quello di un uomo che ha perso il senno, diventa come un pazzo. Credendosi di essere l’ultimo dei cavalieri, decide di affrontare tutte le ingiustizie e i soprusi del mondo in nome dell’amore e degli ideali cavallereschi del suo tempo.
In realtà, anticipando i tempi nostri, Don Chisciotte nasconde nella sua lotta l’impotenza dell’uomo moderno di fronte a tutte le iniquità sociali e per il mancato raggiungimento delle proprie aspettative personali. Questa frustrazione da lui subìta gli diventa causa di una forte reazione combattiva, ed è proprio quello che troviamo rappresentato nell’archetipo del nostro cavaliere-condottiero. Dopo aver affrontato eserciti di nemici, fantasmi, giganti e malfattori il nostro eroe viene riportato a casa dal suo fedele compagno di viaggio Sancio Panza, lo scudiero al suo servizio.
Che Cervantes fosse stato un cristiano molto religioso, lo si evince dai dialoghi che affiorano all’interno del suo romanzo. Ne abbiamo un chiaro esempio quando Don Chisciotte si trovò in viaggio affiancato dal suo scudiero Sancio Panza. Strada facendo, i due avventurieri ebbero un incontro con una dozzina di contadini che stavano pranzando sopra un prato. Con un certo orgoglio, questi tenevano vicino a sé delle proprietà coperte da lenzuoli: erano delle tele raffiguranti san Giorgio, san Martino, san Diego, san Paolo. Tutto questo “materiale di immagini” doveva servire per un grande spettacolo da tenere nel loro villaggio. La richiesta di Don Chisciotte di poterle visionare una dopo l’altra gli fu accordata gentilmente dai loro protettori. Quando gli fu mostrata per ultimo la tela di san Paolo mentre questi stava per cadere giù da cavallo, Don Chisciotte esclamò:
«Questo fu il più gran nemico che la Chiesa di Dio nostro Signore avesse al suo tempo, e il maggior suo difensore che avrà mai; cavaliere errante nella vita e fermamente santo nella morte, lavoratore instancabile nella vigna del Signore, dottore delle genti, al quale servirono di scuola i cieli e da maestro e guida lo stesso Gesù Cristo. (…) Questi santi e cavalieri esercitarono quel che io esercito, cioè, la professione delle armi; senonché, la differenza che c’è tra me e loro è questa: loro furono santi e combatterono da gente di Dio, mentre io son peccatore e combatto secondo il mondo».
Parte seconda
Lasciamo da parte le imprese del nostro Don Chisciotte con il suo ronzino e addentriamoci ora nell’epistola di san Giacomo dove sta scritto: «Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore? Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta» (Giacomo 2:20:26).
Un binomio inseparabile
Il binomio fede-opere è dichiarato inscindibile nella Bibbia, non può essere disgiunto o scollegato. Il vero cristiano, il credente nella Bibbia, potrà scoprire la condotta da assumere nella sua vita se prende sul serio i suoi insegnamenti. Se terrà stretti a sé questo binomio e li vivrà insieme, mostrerà non solo che la sua fede è genuina, ma dimostrerà pure con i fatti, che lui è un essere vivente, non morto.
Attenzione: qui si parla di opere di fede, non di fanatismo religioso. Le opere profilate soprattutto nel centro e sud Italia nel corso delle processioni volte alla devozione di una certa madonna accompagnate da gesta e grida di penitenza, portare in corsa una statua del santo molto pesante, hanno zero valore salvifico, sono azioni condannate severamente dal primo e secondo dei 10 comandamenti della Bibbia (Esodo 20). Antibibliche sono pure le cosiddette “opere di lucro” o meritorie, come le messe di suffragio al fine di acquistare indulgenze per i defunti.
L’intercessione salvifica per i defunti non esiste nei libri canonici della Bibbia. Eppure, il corpo clericale preposto nella chiesa cattolica “alimenta” in modo vistoso tra i fedeli questa pratica di santificazione spuria.
L’autoinganno
«Nel contesto religioso cristiano, questo fenomeno si verifica quando un credente accetta sinceramente una falsa credenza o pratica come se fosse vera. L’autoinganno è definito come “l’azione o la pratica di credere in qualcosa di falso o che non è stato convalidato”. Sulla base di questa definizione, l’autoinganno può rappresentare quelle persone che hanno volontariamente scartato l’evidenza di una norma sperimentata che è contraria alla realtà creduta. Rappresenta anche persone che credono sinceramente in qualcosa che è sbagliato»
La parola “inganno” è definita come “mancanza di verità in ciò che viene detto, fatto, creduto, pensato o discusso”. Andando oltre a questa succinta definizione aggiungerei anche lo scritto. Centinaia di libri messi in vendita hanno una parvenza di spiritualità “certificata”, ma in sostanza sono un potente inganno. Uno di questi è ironicamente intitolato L’INGANNO DELLA CROCE (Laura Fezia, Uno Editori, 2017). Invito a scaricare il documento “Cristo sulla croce fu un atto di amore, non un inganno”, una mia recente critica a questo libro (PDF 2,7 MB, 14 pagine).
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Solo le opere manifestate con amore, piene di compassione, di misericordia, di generosità, di ubbidienza alla sua Legge hanno valore di fronte a Dio. Nel suo percorso di santificazione, il cristiano le compie con gioia e gratitudine come risposta positiva a Cristo, il quale avendoci riscattati dai nostri peccati per il dono di grazia offerto mediante la sua morte e risurrezione «purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire l’Iddio vivente» (Ebrei 9:14).
«Infatti, è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede, e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; infatti, siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo». (Efesini 2:8-10)
Un esempio pratico e verosimile
C’è un cristiano di una determinata congregazione cristiana che è convinto di essere “nato di nuovo” ma fuma regolarmente le sigarette come fece già prima della sua conversione. A un certo momento si incontra (fumando) per strada con un suo amico cristiano Avventista del Settimo Giorno (non fumatore per principio). Discutendo sulle dottrine della Bibbia i due arrivano a esporre le proprie posizioni di fede che professano. Nella serena conversazione l’Avventista gli fa notare rispettosamente che la Bibbia dice chiaramente «che il proprio corpo è il tempio dello Spirito Santo e che noi redenti non apparteniamo a noi stessi» (Cfr. 1 Corinzi 6:19).
Di conseguenza, il primo riconosce che fumare le sigarette non fa onore a Dio, oltre a guastare la propria salute e le proprie finanze. Ragione per cui promette in seguito a se stesso (e a Dio) di smettere di fumare nel raggio di breve tempo. La decisione è stata presa. Se, invece, nel futuro continua lo stesso come prima, il suo proposito si esaurisce in uno sterile autoinganno, dimostrando la sua incoerenza e debolezza spirituale. Sì, paradossalmente proprio questo può accadere pure al cristiano “nato di nuovo” nello Spirito. Se esiste una caratteristica fondamentalmente umana, questa è la capacità di autoingannarsi, cioè di mentire a se stessi. Se le “opere buone” preparate dalla Provvidenza divina rimangono confinate sotto il mantello di rinnovate promesse, il desiderio sarà inefficace e la sconfitta trionferà sull’individuo.
Concludo lo studio con le parole di Ellen White (1827-1915) che sul tema della pietas, ossia i sentimenti religiosi del mondo cristiano, ha qualcosa da dire:
«La condizione del mondo religioso contemporaneo è preoccupante. Ci si prende gioco della misericordia divina; la gente neutralizza la legge di Dio «… insegnando dottrine che son precetti d’uomini» (Matteo 15:9). In molte chiese del nostro paese prevale l’infedeltà, anche se essa non si manifesta nel suo senso più ampio, cioè come negazione aperta della Bibbia, ma semplicemente nella forma di un cristianesimo «di facciata», che in realtà mina la fede nella Parola come rivelazione di Dio. Il fervore religioso e la pietà sono state sostituite da un vuoto formalismo e quindi prevalgono l’apostasia e il lassismo morale». Ellen White, Patriarchi e profeti, Edizioni ADV, Firenze, 2003, p. 135.
© Pierluigi Luisetti