Richard Elofer: ebreo, sionista e cristiano

Ecco un uomo che non fece le cose a metà. Per otto anni il padre di Richard non gli rivolse parola perché diventò cristiano. Oggi come cristiano avventista ebreo svolge una grande missione tra il popolo di Israele e gruppi messianici sparsi in tutto il mondo. Sempre portando sulle sue spalle lo scialle bianco orlato di strisce nere o blu tiene conferenze bibliche in ebraico, francese e inglese.

Il settimanale francese Réforme Hebdomadaire protestant d’actualité pubblicò questo articolo sulla base di un’intervista che Elofer rilasciò alla giornalista francese Catherine Dupeyron. L’intervista fu pubblicata l’8 maggio 2008 e si può leggere QUI nell’originale francese.

INTERVISTA CON PROLOGO

Nato ebreo, nel 1975 Richard passò al Cristianesimo diventando pastore della Chiesa Avventista in Francia, la quale fa parte della Federazione protestante di Francia (FPF). Oggi è presidente della missione in Israele di questa chiesa.

Elofer, quando concorda un’intervista, concede tutto il suo tempo, saltando persino l’ora del pranzo. Durante la sua adoloscenza, quando scopre Gesù, esplora profondamente questa via. Cinque anni più tardi, allorché decide di unirsi alla fede cristiana, comincia a studiare teologia per diventare pastore. Infine, all’età di diciannove anni comunica ai suoi genitori venuti nel 1964 in Francia dal Marocco, che vuole farsi battezzare e annuncia loro che vuole sposare una donna non ebrea. «Il cielo cadde loro sulla testa» — mi confida con voce dolce. Determinato e integro, Richard Elofer è anche un uomo posato. Parla lentamente, pesa ogni parola, è attento alla precisione.

Nel dialogo iniziale precisa che egli è «nato ebreo», un aspetto essenziale per lui. Non ha mai rinnegato la sua identità. Ancora oggi, dopo una vita di missione pastorale, se gli si chiede chi sia, risponde senza esitazione: «Sono ebreo, ma vivo in un ambiente avventista». Allora, perché intraprendere questa iniziativa, perché adottare il Cristianesimo evangelico? Perché rischiare una rottura con la sua famiglia? In modo particolare, da quando agli inizi degli anni ’70, durante l’età adolescenziale, fece la sua Bar mitsvah,(1) non ha dubbi sul suo Ebraismo. Nella scuola pubblica parigina di periferia, a Villejuif, Richard è il solo scolaro ebreo della sua classe; gli altri sono musulmani o cristiani. «Mi interrogavo sulle differenti religioni, e arrivai alla conclusione che l’Ebraismo fosse una religione più completa, nel senso che si rivolge all’essere umano intero, al corpo — grazie alla cashrut,(2) — all’anima e allo spirito, mentre il Cattolicesimo (il solo Cristianesimo che conoscevo allora) non fa altro che fare appello allo spirito».

La libertà in Gesù

Eppure, Richard aderisce a questa nuova fede. «Senza dubbio non l’avrei mai fatto se non avessi conosciuto la Chiesa Avventista del Settimo Giorno», precisa lui. Un incontro che gioca un ruolo fondamentale è il fatto di avere incontrato un «ebreo spirituale», diciamo così, un avventista che rispettava il sabato e le regole alimentari della cashrut, ma che “non era ebreo di nascita”. In tal modo, il giovane adolescente è confuso, ma scopre la figura di Gesù. Il Cristo conferisce a Richard «una pace interiore e una libertà nuova». Questo è un elemento essenziale, mi dice. Da adolescente vivevo l’Ebraismo come qualcosa di contrastante e colpevolizzante. Se durante il sabato, accendevo per disattenzione la luce, avevo l’impressione che tutta la sacralità di quel giorno fosse stata vanificata. Gesù, invece, mi porta una grande libertà. Mi ha dato la pace e la facoltà di vivere in comunione spirituale con Dio senza sentimenti di colpa. Ma io restavo fedele alla fede dei miei padri, continuando a rispettare il sabato, la cashrut e tutte le leggi ebraiche inscritte nella Torah (Il Pentateuco).

Va saputo che la Chiesa Avventista del Settimo Giorno, a partire dal suo sorgere nel XIX secolo in America, possiede due caratteristiche fondanti: il ritorno di Cristo (la parusia) e il rispetto dei dieci comandamenti, di cui il sabato fa parte. «Un giorno di gioia, di crescita e di preghiera senza lavoro, conformemente alle regole della Bibbia e non solamente a quelle dei rabbini». Il sabato è una pietra angolare della fede avventista. La dottrina di questa chiesa offriva a Richard la possibilità di accettare il Cristo senza il sentimento di dover tradire la sua identità di giudeo. Ma suo padre non la vedeva allo stesso modo. La decisione che prese Richard gli procurò un immenso dolore. «Come lei saprà, numerosi ebrei del Marocco sono dei discendenti degli ebrei che sono fuggiti dalla Spagna nel XV secolo durante il periodo dell’inquisizione. Di fatto, per mio padre sapere che mi sono dato al Cristianesimo, era come se io fossi entrato nel campo dei persecutori del popolo ebreo».

La riconciliazione tra Israele e la Chiesa cristiana

Suo padre, il fondatore della prima sinagoga di Villejuif,(3) rifiuta di vedere il proprio figlio per otto lunghi anni. Richard incontra sua madre di nascosto. «Per lei, ero suo figlio, punto e basta». Nel 1983, Richard rivede suo padre durante il matrimonio di un suo fratello. Da allora, i rapporti tra padre e figlio si sono normalizzati — vanno a volte insieme nella sinagoga — ma non parlano mai di religione. Da qualche mese i genitori di Richard sono rimpatriati in Israele. Per Richard, questo significa un dono dal cielo.

Il pastore Richard Elofer ha assunto inizialmente il suo lavoro pastorale in Francia, a Melun, Bourges, Rouen e Strasburgo. Nel 1997 arriva in Israele come presidente della missione avventista di quel paese. «Da vent’anni aspettavo questo momento! Sono sempre rimasto sionista e desideravo vivere nella terra dei miei antenati» — ribatte. La sua missione: operare per «la riconciliazione tra Israele e la Chiesa cristiana, affinché insieme possano preparare il mondo alla venuta del Messia». Nell’anno 2000 viene ugualmente nominato direttore del Centro mondiale di amicizia giudeo-avventista (World Jewish Adventist Friendship Center). Sito ufficiale: QUI

Nell’arco di dieci anni la Chiesa Avventista del Settimo Giorno ha conosciuto in Israele un importante sviluppo. Nel 1997 contava 250 membri, distribuiti in cinque comunità. Oggi sono un migliaio in una trentina di comunità. L’obiettivo è di attirare gli ebrei tanto quanto i cristiani. Concretamente, la Chiesa ha battezzato all’incirca 800 persone, uscite in gran parte dal seno ebraico ma «degiudaizzati», precisa il pastore. In effetti, un numero di questi nuovi cristiani sono di sicuro degli ebrei arrivati negli anni ’90, ma che i rabbini li rifiutavano come tali perché non erano in accordo con la legge ebraica.

Inoltre, la metà delle comunità avventiste sono russofone, altre sono anglofone, romene, ispaniche, etiope… parimente ebraiche e arabe. «I fedeli arabi sono stati in numero maggiore, ma nel 1967 un gran numero di loro sono emigrati negli Stati Uniti di America e nel Cile» fa notare Richard Elofer.

Negli anni ’30, quando la Chiesa Avventista era presente in Terra Santa già dal 1898, considerava la creazione di uno stato per gli ebrei «non confacente con la volontà di Dio». Da allora si è evoluta da questa stretta visione. Se gli Avventisti restano politicamente distanziati, oggi sono maggiormente favorevoli tanto all’esistenza di Israele quanto a uno stato palestinese. Una posizione che conviene perfettamente al pastore che ben presto dovrà inaugurare un nuovo centro comunitario per i palestinesi di Gerusalemme Est destinato alle opere sociali, sanitarie ed educative. FINE INTERVISTA

Video in inglese: Elofer racconta un poco la sua vita (ottobre 2016): clicca QUI.

Richard Elofer nel Marzo 2012 durante la sua visita a Leknes-Norvegia.
[1] Bar mitsvah: È la pratica di confermazione alla fede ebraica che viene contrassegnata per il giovane attraverso un rituale all’età di 13 anni e un giorno. Da quel momento sono ritenuti moralmente responsabili delle proprie azioni. Le radici della parola ebraica significa “figlio del comandamento”. Le femmine devono avere raggiunto i 12 anni e un giorno, e per loro si chiama Bat mitsvah.

[2] Cashrut: indica nell’accezione comune ebraica, l’idoneità di un cibo a essere consumato dal popolo ebraico secondo le regole alimentari stabilite nella Torah (Cfr. Levitico 11).

[3] Villejuif è un comune francese di 55600 abitanti (2009) situato nel Dipartimento della Valle della Marna nella regione dell’Île de France. Dista una decina di km dal centro di Parigi.

© Pierluigi Luisetti.